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La storia del Sagrantino e dei falchi dell’Imperatore

Siamo nel 1240. Federico II di Svevia, si trovò a sostare per tre giorni e tre notti, dal 10 al 13 Febbraio, nei pressi di un piccolo centro fortificato sulla sommità di una collina chiamata Coccorone. Ci troviamo alle pendici orientali dei Monti Martani e a ridosso della Conca di Spoleto. Poco lontano da lì, nelle zone umide presenti attorno a S. Maria di Pietrarossa (Trevi) e sino alle Fonti del Clitunno, l’imperatore poté cacciare aironi, garzette e cicogne in compagnia dei suoi amati falchi.

Il 12 febbraio, dal campo allestito a Coccorone, che a seguito di questi fatti prenderà il nome di Montefalco, partì una richiesta improvvisa alla volta delle Puglie. I falchi dell’imperatore dovevano essere curati immediatamente con una pozione di Viulaceum, un antico ritrovato a base di sciroppo di zucchero e viola mammola, la cui ricetta elaborata da Apicio era nota già del primo secolo dopo Cristo.

Di lì a poco, preso atto dell’impossibilità di far arrivare in tempo quanto era stato richiesto dall’Imperatore e visto l’allarme lanciato dal falconiere magister Encius, fu utilizzato come base dell’infusione miracolosa, un vino dolce e passito prodotto in quella zona.

L’efficacia terapeutica del rimedio ottenuto fu così importante da dare il nome a quel vino: parliamo appunto del Sagrantino, ossia il “Saqr-ans”, il “vino che cura il falco Sacro”.

 

Sagrantino: *Saqr-ans, ‘vino che cura il falco Sacro’ dell’Imperatore Federico II di Svevia

Dal 10 al 13 febbraio del 1240 Federico II di Svevia sosta nei pressi di un piccolo centro fortificato sulla sommità di una collina, da cui il nome di Coccorone, posta alle pendici orientali dei Monti Martani e a ridosso della Conca di Spoleto. Gli acquitrini attorno a S. Maria di Pietrarossa (Trevi), poco lontano, e sino alle Fonti del Clitunno ospitano aironi, garzette e cicogne, offrendo buone opportunità per la caccia con i falchi prediletti.

Il 12 febbraio dal campo presso Coccorone, allestito secondo la tradizione su una collinetta prospiciente alle mura orientali in direzione di Camiano, parte una richiesta improvvisa. Theodorus philosophus, in Puglia, deve provvedere alla requisitio di tutto lo zuccaro et omnia alia necessaria per produrre quanto prima de sciropos et zuccaro violaceum tam ad opus domini quam et pro camera faciat in ea quantitate quam viderit expedire et… significet domino statum suum» (Hist.
Dipl., tomo V, pars II, pp. 750-751).
L’entità, l’urgenza e la perentorietà dell’ordine lasciano intendere una necessità imprevista, che potrebbe avere ricadute gravi sulla corte e alla quale l’imperatore presta la massima attenzione, chiedendo di essere informato in tempo reale sui progressi ottenuti nella preparazione dello sciroppo.
Lo sciropos et zuccaro violaceum è una bevanda ottenuta secondo una ricetta di cucina descritta da Apicio (De re coquinaria, 1, 3: Rosatum et violacium) nel I secolo d. C. Prelevando foglie di Viola mammola oppure di rosa, e privandole del picciolo e della guaina, si raccolgono in un fazzoletto di lino e si pongono in infusione per sette giorni nel vino. Tirato fuori l’involto, lo si spreme e poi per altri sette giorni lo si tiene immerso nel liquido. Il procedimento, ripetuto per tre volte, si conclude con il filtraggio del vino, per rimuovere eventuali sospensioni, e l’addizione di miele, che ne renda il sapore gradevole.La tradizione locale su un prezioso falco e la sua centralità che lo avrebbe fatto ricordare nel nuovo nome del paese, introdotto qualche tempo dopo il passaggio di Federico II, e da fi in età modema nello stemma civico, se sono sommati al ricorso al Violaceum durante la permanenza del sovrano sul luogo, alla possibile sostituzione con urgenza del principio di base (lo «sciropos et zuccaro») con qualcosa di analogamente liquoroso e alla icorrenza del vocabolo sacer alla radice del nome del vitigno, pongono al centro e troverebbero soluzione, singolarmente e nell’insieme degli indizi raccolti, nell’unico dettaglio che le epistole dell’imperatore, parlando della malattia e del rimedio richiesto con urgenza, non menzionano, cioè che ad averne bisogno fossero uno o più falchi.

La specie è quella del Sacro, nel nome tramandato dai testi latini, o Sagro, secondo la forma volgare più antica del nome, estesa dal XV secolo in avanti anche alla definizione di particolari pezzi di artiglieria (Sagri o Falconi, da campo e da marina). Il nome di quest’ultimo deriva dall’arabo Saqr (falco’), pronunciato riproducendo in forma onomatopeica uno dei versi caratteristici dell’animale.
Il vocabolo è reso in latino come Sacer, ‘sacro’, con aperta allusione alle sue qualità di valente cacciatore.

La vicenda si ricostruirebbe così. Ammalatisi alcuni esemplari durante la permanenza di Federico Il a Coccorone, dopo che già a Foligno il falconiere magister Encius aveva palesato i primi sintomi di qualcosa di simile inducendo l’imperatore a domandarne a Rogerius de Morra la sostituzione (Hist. Dipl., tomo V, pars II, p. 703), viene richiesta la disponibilità immediata di una quantità di sciroppo Violaceum, indispensabile per curare i malati e preservare i sani dal contagio. Poiché i tempi necessari alla produzione, in Puglia, e al recapito all’accampamento, in Umbria, contrastavano con l’urgenza di opporsi alla propagazione della malattia, si ricorre a un surrogato.
Le uve del vitigno, lavorate principalmente per produrre un vino dolce o passito, possono offrire una base alternativa allo zucchero nella quale mettere in infusione le foglie e i petali di Viola mammola. L’efficacia terapeutica del rimedio ottenuto con questa inedita combinazione tra il principio attivo dell’acido salicilico di matrice vegetale e un vino particolare, ricco di tannini e di polifenoli, si sono riassunte nel nome che questo riceve: Sagrantino, ossia il *Saqr-ans, ‘vino che cura il falco Sacro’ e che se ne prende custodia, con la stessa efficacia dell’ampiamente sperimentato sciropos et zuccaro Violaceum.

Tratto da L’Universo – IGM, Stefano del Lungo CNR ISPC